La testimonianza di Sara Beduschi
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I contributi presenti nella raccolta “Storie di ordinaria isteria” mettono in evidenza episodi di medical gaslighting, discriminazioni e microaggressioni in ambito medico-sanitario, negligenza e violenza medica.
Ringrazio Sara per avermi affidato le sue parole. A te che leggi, chiedo di averne cura.

Sara Beduschi è un’educatrice socio-pedagogica e dottoressa in psicologia clinica. Si occupa di formazione e interventi educativi rivolti a persone con Bisogni Comunicativi Complessi, persone neuroatipiche, persone con dolore cronico e disabilità. Fa parte del team INFO Endometriosi, progetto di advocacy e divulgazione sull’endometriosi.

Sara Beduschi è un’educatrice socio-pedagogica e dottoressa in psicologia clinica. Si occupa di formazione e interventi educativi rivolti a persone con Bisogni Comunicativi Complessi, persone neuroatipiche, persone con dolore cronico e disabilità. Fa parte del team INFO Endometriosi, progetto di advocacy e divulgazione sull’endometriosi.
Il medical gaslighting è un fenomeno ampiamente diffuso e anche pericoloso. Sì pericoloso, perché ogni volta che unə professionista della salute invalida, minimizza, ridicolizza e schernisce una persona che si affida alle sue cure per determinati sintomi, ciò impatta sulla sua salute psicofisica in maniera importante. È un’esperienza traumatica, a tal punto che persino chi ha tutti gli strumenti per riconoscere certe forme di manipolazione, può trovarsi nella condizione di non riuscire a ribattere. È così frustrante e umiliante sentirsi svilitə da chi dovrebbe curarci che non dovremmo starne neanche a parlare perché, di fatto, non dovrebbe succedere e, invece, accade ogni giorno. Da secoli.
Da paziente che convive con il dolore cronico e con una disabilità dinamica derivata dalla malattia ma anche dalla negligenza perpetrata negli anni e anni da parte di tantə professionistə, posso dire che il medical gaslighting è un fenomeno subdolo perché finisci per sentirti in colpa per la tua situazione, come se fossi tu a non saper reagire, a non riuscire a gestire il dolore. La relazione medicə – paziente non solo è asimmetrica ma è intrisa di sessismo, bias di genere, razzismo e classismo. Se è difficile per una persona del mestiere reagire di fronte a unə professionista che minimizza i suoi sintomi o che tratta la persona in malo modo a causa per esempio di un atteggiamento grassofobico, figuriamoci quanto può essere dura per altrə pazienti che escono da una visita in lacrime, con l’ennesimo due di picche in tasca e gli ennesimi duecento euro buttati per arrivare sempre alla stessa, dannata, conclusione “Non hai niente”.
Il mio “non hai niente” mi ha portato a soffrire per anni. Ho speso tutti i soldi che avevo in viaggi, visite, esami diagnostici, terapie fino ad arrivare a ben due operazioni, di cui una per l’impianto di neuromodulazione sacrale.
La mia storia è la storia di tante altre persone che hanno sofferto lo stesso calvario se non peggio. Già perché comunque io ho avuto diversi privilegi perché sono bianca, magra, neurotipica, eterosessuale, italiana, con un’istruzione universitaria, una famiglia che mi ha fornito sostegno economico laddove non riuscivo da sola e senza difficoltà comunicative. Cosa voglio dire con tutto questo? Mi spiego subito: tanto più appartieni a uno o più categorie oppresse, più è facile che tu sia discriminatə anche nel campo della salute. Una persona non binaria, grassa, nera, straniera ha più probabilità di subire medical gaslighting e i dati che stanno emergendo da numerosissime testimonianze e da diverse ricerche, purtroppo, lo confermano.
Ora immaginiamo che sia una persona con disabilità e difficoltà comunicative a doversi rivolgere a unə professionista della salute. È altamente probabile che le spiegazioni circa la salute di quella persona saranno date al caregiver senza mai rivolgersi direttamente alla persona di cui si sta parlando perché il pregiudizio “tanto non capisce” è largamente diffuso e costituisce una barriera alle relazioni umane e al diritto alle cure di cui ancora troppo poco ci interessiamo.
Lavorando con persone con Bisogni Comunicativi Complessi, ho visto tante persone adulte essere trattate come bambinə senza essere interpellate nelle decisioni importanti per la loro salute (e non solo). La vulnerabilità di persone che non possono esprimere la loro opinione senza strumenti comunicativi è elevata alla massima potenza in queste situazioni. E quel “Non ha niente” diventa una sentenza se non c’è diritto di replica né la possibilità di cercare autonomamente aiuto altrove.
Una medicina a misura di persona deve necessariamente tenere conto anche di questi fattori ma, attualmente, siamo ancora lontani dal raggiungere questo obiettivo. Quello che è certo è che non smetteremo di dirlo e ribadirlo affinché nessun’altrə subisca più quello che per secoli migliaia di persone hanno subito.
Per condividere la tua testimonianza, scrivi a ordinariaisteria@isteriche.com