La testimonianza di Federica Nisi
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I contributi presenti nella raccolta “Storie di ordinaria isteria” mettono in evidenza episodi di medical gaslighting, discriminazioni e microaggressioni in ambito medico-sanitario, negligenza e violenza medica.
Ringrazio Federica per avermi affidato le sue parole. A te che leggi, chiedo di averne cura.

Federica Nisi è una tecnica di laboratorio educativo e sta attualmente frequentando l’ultimo anno di Scienze dell’Educazione, comprensivo di tirocinio curriculare presso il Servizio Disabilità e Sessualità del Comune di Torino. È una persona con vestibolodinia, ipertono del pavimento pelvico ed endometriosi. Dopo aver preso parte ad altre iniziative di volontariato, maturando esperienza in questo campo, nel 2018 ha ideato e fondato un gruppo di ascolto e supporto per tutte le persone con vulvodinia, che ha gestito per quattro anni, fino a maggio 2021. Nel 2020 ha aperto il suo account su Instagram per continuare anche sui social l’attività di divulgazione e sensibilizzazione su temi quali la vulvodinia, il diritto alla salute, l’intersezionalità e l’inclusione. Ulteriori contributi su Freeda, Well Tv Channel e L’in-esistente.

Federica Nisi è una tecnica di laboratorio educativo e sta attualmente frequentando l’ultimo anno di Scienze dell’Educazione, comprensivo di tirocinio curriculare presso il Servizio Disabilità e Sessualità del Comune di Torino. È una persona con vestibolodinia, ipertono del pavimento pelvico ed endometriosi. Dopo aver preso parte ad altre iniziative di volontariato, maturando esperienza in questo campo, nel 2018 ha ideato e fondato un gruppo di ascolto e supporto per tutte le persone con vulvodinia, che ha gestito per quattro anni, fino a maggio 2021. Nel 2020 ha aperto il suo account su Instagram per continuare anche sui social l’attività di divulgazione e sensibilizzazione su temi quali la vulvodinia, il diritto alla salute, l’intersezionalità e l’inclusione. Ulteriori contributi su Freeda, Well Tv Channel e L’in-esistente.
È importante condividere esperienze di medical gaslighting, perché è pratica comune per una categoria ancora considerata “intoccabile” nascondere questi scheletri dentro i vari armadi (mah chissà quanti armadi avranno quest* benedett* medic*, comunque prima o poi saranno pieni). Questi scheletri sono le migliaia di soprusi che non solo noi, in quanto persone con malattie croniche invisibili, ma noi, in quanto persone che accedono alle cure, abbiamo dovuto subire negli anni, decenni e secoli e che ancora subiamo.
Naturalmente la mia è una testimonianza di circa vent’anni, non di secoli, e la voglio scrivere come elenco, perché così ci si renderà conto di quanto questa pratica sia diffusa ma si cerchi di celarla il più possibile, perché mica vorremo dire che qualcosa dovrebbe cambiare? Mica vorremo essere trattat* con dignità e rispetto? Mica vorremo essere credut*? Non sia mai, quando si va negli ambiti sanitari e si ha a che fare non solo con medic* ma anche con infermier* e altre figure dell’ambito, noi siamo quell* “inferiori”, quell* che “non vorrai saperne più del medico?”, quell* del “posso trattarti come cazzo voglio tanto come te ne vedo altr* centomila, per me sei un numero e di conseguenza non me ne frega una beata fava di rispettarti”.
Passiamo all’elenco: considerate che per scelta ho deciso di parlare anche di un paio di casi che mi sono successi precedentemente all’insorgenza della vulvodinia o che nulla vi avevano a che fare.
- Andai a fare uno dei miei primi pap-test in uno dei più rinomati ospedali pubblici della mia città. Il dottore mi fece molto male prelevando il materiale da analizzare, e io d’istinto mi mossi leggermente. L’infermiera, invece di preoccuparsi di come stessi, mi disse testuali parole “ma cosa sta facendo?????? non vede che poteva dare un calcio in testa al dottore?” (io ero stesa nella classica posizione da visita ginecologica, a meno di non essere super snodata non avrei potuto dare un calcio proprio a nessuno). Di fronte alle mie rimostranze sul fatto che mi aveva fatto male la risposta fu “quante storie, è un semplice pap-test”. Il pap- test seguente lo feci dalla mia ginecologa che vide ancora i segni di quello precedente, mi era rimasta una cicatrice…
- Dopo una settimana di occhi gonfi, palpebre gonfie e prurito mi recai all’oftalmico, disperata, perché da anni ormai vado in pronto soccorso solo se accadono cose “nuove” o se sto per morire. C’erano 4 persone. “Perfetto”, pensai, “forse questa volta riesco a fare abbastanza in fretta”. Ahahahahah sì, credici. Dopo 4 ore di attesa, in cui entrò solo un ferito tramite ambulanza, chiesi all’accettazione per favore quanto tempo pensavano ci volesse. L’infermiera mi rispose vagamente, dicendo che erano occupati (io guardandomi in giro mi chiesi “ma chi? che non c’è nessuno prima di me e non hanno più chiamato nessuno da ore?”). Insistetti ma solo perché fisicamente ero distrutta e mi disse che se avessi voluto me ne sarei potuta andare ma che dovevo dichiarare che rifiutavo la visita e che avrei dovuto anche pagare il ticket. Cosa??????? Al che obiettai che non se ne parlava nemmeno, io sarei rimasta lì (ormai ero entrata in modalità “ora basta mi sono scassata le ovaie di essere trattata come immondizia”) e che se proprio avessero dovuto scrivere qualcosa avrebbero dovuto riportare che me ne andavo perché loro si erano rifiutati di visitarmi.
Dopo 5 minuti, venni chiamata per la visita (guarda caso). Nello studio della dottoressa mi trovai davanti al plotone di esecuzione: dottoressa attorniata da 4 infermiere evidentemente imbarazzate dalla situazione. La dottoressa iniziò a dirmi tutto ciò che si possa dire per mortificare una persona “come si è permessa di urlare con l’infermiera” (non avevo urlato, pretendevo solo i miei diritti) “lei non è nessuno” e via dicendo per almeno 5 minuti. Io ascoltai, non la mandai a culofan solo perché volevo rimanere dalla parte della ragione e alla fine mi visitò dicendomi “per queste cose doveva andare dal dermatologo non venire all’oftalmico” (certo perché io ho la sfera di cristallo che mi risponde in automatico a quale ospedale rivolgermi e soprattutto mi piace stare al pronto soccorso per 4 ore). Mi prescrisse una crema che oltretutto, non fidandomi dell’elemento, si rivelò essere totalmente sbagliata per ciò che avevo. Santo oculista del mio cuor due giorni dopo, vista l’urgenza, mi prescrisse la terapia adatta.
I seguenti episodi si sono verificati invece quando giravo come una trottola alla ricerca di una diagnosi:
- Ginecologo caldamente consigliato da amiche: “signora, per stare bene deve rimanere gravida”.
- Ginecologo super esperto in endometriosi che senza chiedermi “posso” o avvertirmi che stava per iniziare la visita inserendo il dito in vagina, lo fa di botto, e io faccio un salto sul lettino (ero in piena vulvodinia, in quel periodo non riuscivo a indossare nemmeno gli slip o a stare seduta e lui lo sapeva perché glielo aveva comunicato in fase di anamnesi). Solita risposta “eh che sarà mai”.
Dopo la visita, quando ci mettiamo a parlare e racconto la mia storia, scoppio a piangere (mai fatto da nessun* specialista) perché ero spossata emotivamente e fisicamente. Risposta dello specialista “quante storie, la smetta di piangere”.
- Mi reco a fare un tampone vaginale per escludere qualsiasi cosa, esce un batterio, faccio la cura e torno a fare il tampone per verificare che il batterio fosse stato debellato (a questo punto ero diventata più “sgamata” come si suol dire). Entro nella stanza e l’infermiera addetta ai tamponi e a prendere le informazioni mi dice “ma è di nuovo qua?”. Penso che mi abbiano sentito gridare da un chilometro di distanza. Le ho detto di non permettersi mai più di dire a me o a qualunque altra persona una cosa del genere e di pensare a fare il suo lavoro. Naturalmente mise in atto la vendetta delle vigliacche: mi fece malissimo con lo speculum.
- Specialista che finalmente mi fece la diagnosi. Una grande professoressa, rinomatissima nel campo. Per andare da lei vendevo un rene al mese, poi mi sono accorta di averne solo due. Quando stetti male mi lasciò nel mio dolore per 3 lunghissimi giorni, salvo poi rispondermi scocciata quando la ricontattai dalla disperazione.
Questi sono gli episodi che ricordo più nitidamente, ma nel mezzo ce ne sono stati un’infinità, tutti uguali fra loro, le frasi tipiche:
- “Lei non ha niente, è stressata, ansiosa, depressa, ecc.”
- “La vulvodinia non esiste”
- “Deve rilassarsi e tutto passerà” (questa la amo proprio, perché nella sua apparente carineria è la peggiore in assoluto)
- “È impossibile che il farmaco (un antibiotico facente parte della classe dei fluorochinoloni) le abbia causato la vulvodinia” (peccato che l’Aifa abbia emesso vari comunicati1, tra cui uno che ne afferma la nefrotossicità e fattolo presente la risposta è sempre la stessa “impossibile”, niente non ce la fanno ad ammettere che ci hanno dato per anni l’equivalente della bomba atomica. Assunzione di responsabilità questa sconosciuta).
Con la mia testimonianza non voglio mettere in un calderone di merda tutte le figure sanitarie indistintamente, ma questi modi di fare devono terminare, perché siamo persone, non oggetti, abbiamo dei sentimenti. Soprattutto se stiamo male e ci rivolgiamo a specialist* siamo automaticamente maggiormente sensibili. Voglio inoltre lanciare un messaggio a medic*, specialist*, infermier* e a tutte le figure sanitarie: se non vi piacciono le persone, se il vostro lavoro non vi soddisfa, non siete obbligat* a fare quello che fate. Potete sempre cambiare lavoro, farete un favore a voi e alle persone malate.
1Comunicati Aifa sui fluorochinoloni: nota informativa e opuscolo per pazienti.
Per condividere la tua testimonianza, scrivi a ordinariaisteria@isteriche.com